Vi racconto la mia 1000 Curve
Abbiamo partecipato alla 1000 Curve. Da Camerino ad Ascoli Piceno, con il contrasto stridente fra i paesaggi bellissimi e i paesi distrutti dal terremoto, facendo più curve possibili. Il racconto, scritto in prima persona dal nostro “DrGonzo”
Di Riccardo DrGonzo
Questo è il racconto della mia 1000 Curve. Ringraziando l’organizzazione per l’invito, è andata più meno così.
Inizio con una nota personale: causa un serio infortunio al gomito destro, non faccio una gita in moto da quasi due anni. Due settimane fa mi hanno tolto parte della ferraglia che mi ha tenuto insieme le ossa in questo periodo. Non so come reagirà il mio braccio, ma questo è sicuramente il miglior modo di scoprirlo.
Nel trasferimento Roma–Camerino parte dei miei dubbi vengono dissipati. A parte un indolenzimento finale, sto meglio di quello che mi aspettassi. Merito sicuramente delle poche curve fatte, e della moto con la quale ho scelto di venire, la mia fida Honda Transalp 650, compagna di tanti viaggi anche intercontinentali.
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Vista la durata dell’evento, configuro la moto in versione “light”, con valigie Givi piccole e bauletto medio. Conoscendo come reagisco alla vista delle curve (che, ovviamente saranno tante) cambio pure gomma anteriore e pastiglie freno.
La moto è a posto, quindi l’unica variabile resto io col mio braccio. Come reagirà alla partecipazione di un evento dal minaccioso nome di “1000 Curve”? Non resta che scoprirlo nella giornata di sabato!
Ma partiamo da venerdì 25 giugno.
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Un percorso da preparare a fondo
Arrivo all’albergo assegnatomi dall’organizzazione, un delizioso casaletto a Morro Camerino. Mi alleggerisco e mi dirigo verso il meeting point previsto.

Percorrendo quei pochi km in città, si percepisce l’atmosfera tranquilla e la forte connotazione culturale data dalla famosa università fondata nel Medioevo. Alle fermate dell’autobus studenti di chissà quale paese chiacchierano sorridenti.

Una piccola imprecisione del mio navigatore mi fa fare una digressione rispetto alla strada più breve, ma mi porta a dare un’occhiata dall’esterno alla bella Basilica di San Venanzio, con il suo portico colonnato, e i pregevoli portale e rosone.
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Il punto di accoglienza dei partecipanti è ubicato in una grande area caratterizzata da un capannone aperto su tutti i lati, usato solitamente per gli autobus per il servizio pubblico. Si oltrepassa un arco presidiato dallo staff per la procedura di verifica dell’iscrizione e la consegna dei gadget e i numeri di gara. Una volta entrati, non sarà più possibile uscire con la moto fino alle 22.00. Ormai non si torna indietro!
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Le moto vengono ordinatamente sistemate nel parcheggio. Ne approfitto per attaccare il numero di gara e verificare il contenuto dello zaino: roadbook, fotocopia a colori della mappa dei luoghi, sulla quale però manca la parte più a sud del possibile percorso. Poco male: mi sono portato una carta stradale dettagliata di Marche e Umbria. Poi un utile taccuino con matita, evidenziatori, porta badge, tutto griffato 1000 Curve. Come anche una bottiglia di birra artigianale!
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Parlo un po’ con lo staff e cerco di capire al meglio il funzionamento della manifestazione e della gara. Nessuno lo dice ma qui vogliono tutti vincere. E devo ammettere che un pensierino ce lo faccio pure io. In fondo mi è già riuscito un paio di volte di primeggiare in gare di regolarità e navigazione come questa; tra le quali la Targa Florio del 2015. Insomma, perché no? La maggiore incognita resta, come detto, il mio braccio destro.
Presa coscienza di questa mia emergente aspirazione, mi dirigo al capannone, dove ci sono i tavoli già pronti per la cena, che sarebbe stata servita di lì a poco.
A pochi metri di distanza c’è un’affiatata cover band che fa da colonna sonora: America, ZZ TOP, Lynyrd Skynyrd, Steppenwolf…
Inizio a studiare roadbook e mappa. E mi rendo conto abbastanza presto che parte della notte se ne sarebbe andata per pianificare il percorso. Anche perché la cena arriva abbastanza presto. Seguita dall’intervento sul palco degli organizzatori, con la madrina della manifestazione, Cromilla, e il sindaco.
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Viene spiegato lo spirito della manifestazione, cioè smuovere una economia del territorio ove la Pandemia ha di fatto rappresentato l’ennesimo colpo, dopo quello devastante degli eventi tellurici del 2016. Passare per quei luoghi, fermarsi a conoscere i posti o solo consumare una bibita o un pasto è qualcosa che va oltre il mero bisogno di mettere un timbro per la competizione. Piuttosto un modo per ricominciare a far vivere un territorio.
Il proposito mi sembra subito molto azzardato, vista proprio la natura competitiva dell’evento. Infatti, quanto meno all’inizio della “gara”, saranno ben pochi quelli che si fermeranno nei vari esercizi commerciali, se non per mettere l’agognato timbro sul roadbook. Fino ad un certo punto della manifestazione, succederà anche a me.
Viene poi spiegato il regolamento, che provo a riassumere: lo scopo è guadagnare punti, che qui vengono chiamati “curve”. Queste vengono accumulate passando per dei punti chiamati cookies, dove o si trova un’attività commerciale (bar, ristoranti, cantine, agriturismo etc.) dove c’è qualcuno che appone un timbro sul roadbook, oppure si deve dimostrare di essere passati per un determinato luogo attraverso un “selfie cookie”, una foto cioè che inquadra il luogo stabilito (croce, statua, chiesa etc.) e la nostra moto col numero di gara, e che va inviata ad un numero di cellulare fornito dall’organizzatore via Whatsapp.
Ma questi luoghi sono tantissimi, ed il territorio coperto va da Fermo a Rieti. Inoltre alcuni assegnano molti punti, altri pochi (perché magari sono più facili da raggiungere), e nella stessa località ci possono essere più attività dove timbrare e che assegnano punti.
Per di più ci sono tre check point (i cosiddetti gate) dove bisogna passare entro una finestra temporale pena l’esclusione della classifica. La scelta del percorso va quindi valutata attentamente. Se scegli di passare comodamente ai gate, è perché fai un percorso tutto sommato “facile” e che assegna pochi punti. Ma se, viceversa, provi ad accumulare più luoghi visitati, e quindi più punti/curve possibile, rischi di non arrivare in tempo al gate di controllo, ed essere escluso. Ardua la scelta, davvero.
La serata finisce con l’intervento del sindaco Sandro Sborgia, evidentemente molto legato alla manifestazione, alla quale parteciperà con la sua moto! Più avanti vi svelerò l’altrettanto inaspettato passeggero.
Dopo le raccomandazioni di rito sul rispetto del Codice della strada e della guida in sicurezza, si aprono le gabbie e siamo liberi di tornare in albergo. Posso riprendere la pianificazione delle tappe!
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Il tempo di mettere in frigo la birra 1000 Curve, ed eccomi lì a studiare il percorso. Sarà conservativo o rischioso per il rispetto dei tempi? Non ho una moto veloce, non so quanto reggerà il mio braccio ma… ovviamente opto per la seconda soluzione!
Non scendo nei dettagli ma faccio le 3 per pianificare tutto nei minimi termini. Purtroppo tra i luoghi che visiterò, devo saltare Castelluccio di Norcia e il Monte Vettore, ma di certo non mancheranno i posti interessanti. Sono abbastanza soddisfatto e mi scolo la birra…
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Sabato ore 9: si parte!
La mattina del sabato si apre con un appuntamento in Piazza Cavour. Partenza fissata alle 9. Arrivo alle 8 circa, e ci sono già tante moto.
Non avevo ancora percepito la mole dei danni che questa città aveva subito dal terremoto del 2016, perché nella parte della città che avevo percorso evidentemente la ricostruzione era stata spedita. Ma qui, sotto gli occhi severi di Sisto V, il grande Papa marchigiano, appaiono molto più espliciti i danni del sisma.
Sulla piazza si affacciano il Palazzo Ducale, la Curia Arcivescovile, l’Università e il Duomo. Tutte la facciate di questi edifici hanno le evidenti ferite del terremoto, rese ancora più evidenti dalle gabbie che li mettono in sicurezza, sorreggendo i muri, i campanili, le finestre ed i portoni.
Si chiacchiera amabilmente di regolamenti e percorsi. Ad un certo punto una signora, che poi si scopre essere la moglie del mitico sindaco, distribuisce croci benedette dall’Arcivescovo. Il quale è presente in piazza e ci onorerà di una benedizione cui parteciperanno quasi tutti i motociclisti.
Ebbene sì, sarà lui il misterioso passeggero del sindaco. La miticità dell’equipaggio raggiunge vette inesplorate!
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La partenza è alla francese. Si parte uno dopo l’altro. Io prendo il via alle 9.10 circa. Quei 10 minuti, complice anche una certa lacunosità del regolamento, mi costeranno la possibilità di arrivare in fondo alla manifestazione.
La prima tappa prevede un gate dopo 2 ore a Montegiorgio, con la possibilità di sforare il tempo di arrivo di un’ora. Arrivare entro l’ora di ritardo ti fa restare in gara, ma prevede delle penalità in termini di punteggio.
Nella mia previsione arriverò entro l’ora di ritardo, ma accumulerò molti punti. E infatti andrà così.
Passo per Muccia, Pieve Torina, Visso, Fiastra, Monastero, San Ginesio, Sant’Angelo In Pontano, prima di arrivare a Montegiorgio.
Comincio a capire il nome dell’evento: curve, curve e solo curve. La Transalp si comporta bene. Certo se avessi la mia Tuono e non dovessi cercare timbri in giro…
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Il giro mi costa una mezz’ora di ritardo, ma ho messo in saccoccia molti punti; e sono ancora in gara. Il braccio tutto sommato regge.
La seconda tappa prevede il gate ad Arquata del Tronto. È quella rischiosa del mio percorso. Avrò i minuti contati, e avere accumulato già mezz’ora di ritardo non mi aiuta. Ma le altre due tappe saranno molto più conservative, proprio in previsione di stare al limite col tempo dopo la seconda. Se riesco a passare indenne questo capitolo della gara sarà quasi fatta!

Erroneamente però sono convinto di avere 10 minuti in più di tempo, proprio perché partito alle 9.10.
La strada si snoda tra il solito misto medio stretto, e tocco le località di Servigliano, Amandola, Montefortino, Comunanza, Force, Venarotta. Rimane Balzo con i sui due timbri. Mi faccio due conti e decido che ce la posso fare.
Spingo abbastanza, la gomma nuova tiene, arrivo a Balzo e perdo un po’ di tempo a trovare il secondo punto. Mi si dice che per Arquata ci vogliono 20 minuti, ed il gate chiude alle 15.00. Sono le 14.45 e sono ancora convinto di avere i miei 10 minuti in più.
Parto a razzo, ce la posso fare, ma il braccio comincia a indolenzirsi, e non segue più le indicazioni del cervello. Devo rallentare. Inoltre un ciclista in un tornante, evidentemente sentendomi arrivare, si distrae e va dritto, finendo nel prato. Mi fermo, ma è ok: riparto subito senza troppi convenevoli.
Gli ultimi chilometri sono un calvario. Arrivo alle 15.06 ma ormai quelli dello staff se ne sono andati. Una coppia su un Ducati Monster mi conferma che loro sono stati gli ultimi a passare il controllo alle 15.00 precise.
Fuori tempo massimo, inizia un’altra gara
La gara è finita, ma, in fondo è una liberazione. Posso guidare rilassato, ma soprattutto alla “trance agonistica” subentra un altro stato d’animo, quasi inconscio fino ad allora, stuzzicato da immagini quasi subliminali che mi hanno stimolato durante la guida. Ma la cui forza emerge soprattutto ad Arquata, che porta ancora evidentissimi i dolorosi segni del terremoto.
Decido dunque di cambiare il paradigma della mia presenza, finora circoscritto alla dimensione “agonistica”, a mi lascio andare a ciò che evidentemente covavo già dentro. I miei pensieri finora latenti, e che riguardavano il terremoto e il dolore che aveva provocato, evocati proprio da quelle sfuggenti immagini di edifici crollati o lesionati, prendono ora il sopravvento.
Ma devo fare i conti col braccio che deve riposare e quindi, rispettando il percorso previsto per la terza tappa, ma senza fermarmi a mettere i timbri, mi dirigo verso Lempa, vicino Ascoli, nelle cui vicinanze ho prenotato un albergo.
Decido che il giorno successivo posso approfondire quello che è ora il nuovo interesse. Mi faccio una doccia e mi butto un attimo sul letto, con l’intenzione però di andare in città per la fine della manifestazione. L’attimo diventa ore, e quando mi sveglio deve essere tutto già finito. Alle 20.00 c’era l’ultimo arrivo, e siamo ben oltre quell’ora. Mando un messaggio a Luca dell’organizzazione per avvisarlo che sono vivo e che non passerò per Ascoli.
Finalmente posso andare a mangiare qualcosa: è dalla colazione che non metto qualcosa sotto i denti. Prima però mi scolo un boccale da un litro di birra, con un antipastino…
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Metti una domenica fra i borghi terremotati
Mi sveglio relativamente presto, faccio colazione e mi metto in marcia con una temperatura gradevole. La mia idea è passare per Amatrice, dove dovrebbero essere ancora ben evidenti i danni del sisma. E poi scendere verso Roma, passando anche per il paese dei miei nonni, Sigillo di Posta, dove manco da almeno 20 anni.
Man mano che mi avvicino alla mia mèta, si cominciano a vedere con una frequenza sempre maggiore edifici lesionati, case soprattutto rurali abbattute, in una sequenza che fa capire il tragico gradiente della potenza della natura.
L’ingresso ad Amatrice è quasi da film catastrofico. Sto dietro a un VM 90 dell’esercito, quando imbocco il corso principale, caratterizzato dalla devastazione degli edifici intorno.
Pare tutto come appena accaduto, se non fosse per le reti e i muri che isolano la strada dagli edifici crollati. La lunga teoria dei quali ha il suo apice quando si arriva alla Chiesa di Sant’Agostino, completamente ingabbiata e della quale restano in piedi parte della facciata col portale, e una parte del campanile. Resto qualche minuto ad osservarla insieme alle macerie tutto intorno.
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A un certo punto si avvicina un uomo, con la giacca da moto. Penso sia uno come me, di passaggio, e gli faccio notare come ciò sia impressionante. Mi risponde con la tristezza negli occhi che lui lì ci è nato, mi descrive la chiesa com’era prima, mi racconta un po’ dei momenti del terremoto e dei primi giorni a seguire.
Mi parla di un suo parente, morto dentro la casa che gli aveva affittato suo padre, perché il palazzo è imploso. Si ritiene fortunato, diverse persone che conosceva non ci sono più. Stanno ancora aspettando che almeno quel luogo di culto, quel simbolo della speranza, sia ricostruito. Credo che anche lui si senta un po’ abbandonato dalle istituzioni, come si legge in alcuni striscioni che in realtà ho visto anche in altre città martoriate come Arquata.
Ripenso allo spirito raccomandato dagli organizzatori dell’evento motociclistico del giorno prima, e sono abbastanza sicuro che è questo il vero modo di interpretarlo. Raccontare lo stato dei luoghi e parlare con la gente del posto. Testimoniare lo stato d’animo di chi ha sofferto, anche dopo passata l’enfasi e l’overdose di mass media delle prime settimane dopo il sisma.
Mi ripropongo di tornarci e magari consumare un pasto qui. Un gesto piccolo ma concreto. Sono abbastanza scosso ma devo ripartire, e dopo un piccolo giro all’interno, mi dirigo verso Montereale.
A Montereale si notano ancora ingenti danni, ma stanno su molti più edifici rispetto ad Amatrice. Ancora una volta si nota lo scendere dell’intensità delle scosse, anche se qui devono essere state comunque molto forti.
Arrivato a Borbona, i danni sono ancora minori, a Posta e Sigillo di Posta quasi assenti. Breve visita in paese, caffè da un cugino trovato lì per caso e ritorno a Roma.
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Un bilancio più che positivo
Il bilancio della 1000 Curve e del giorno a seguire è sicuramente positivo. Se parliamo dell’evento motociclistico, devo fare i complimenti per l’ottima organizzazione e per la scelta delle strade.
Forse accettare la sfida agonistica è inevitabile, e per chi la accetta, consiglierei un po’ più di chiarezza del regolamento e di tenere conto dell’orario di partenza effettivo nel passaggio ai gate.
D’altra parte, prenderla con minor foga e con un maggiore spirito di osservazione del territorio, sono sicuro che lasci qualcosa di più dentro, e che sia la filosofia più corretta.
Di sicuro, comunque lo si prenda, l’evento lascia la voglia di tornare su quelle strade, e di approfondire la conoscenza dei luoghi, di esercitare la solidarietà alle persone che hanno subito la volontà di una natura che da queste parti ha espresso tutta la sua forza devastante, distruggendo in pochi secondi quello che generazioni di uomini avevano realizzato in decenni o addirittura secoli di impegno, come storiche costruzioni ed edifici di culto.
E questo per me è il vero successo della 1000 Curve.
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