Quell’amore-odio dei piloti per il rischio

Perché ci piacciono gli sport adrenalici? E il rischio che amiamo è fine a sé stesso? Tutt’altro: secondo gli ultimi studi di psicologia potrebbe avere una sua giustificazione eticamente sostenibile

Perché molti di noi sono attratti dagli sport adrenalinici? In tanti pensano che le nostre personalità siano deviate o patologiche. Gli studi degli ultimi anni offrono invece un’interpretazione diversa, priva di aspetti patologici. Se ne parla in un interessante articolo sul sito di tematiche psicologiche stateofmind.it.
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Gli sport estremi come risposta all’ansia

Così scopriamo che la ricerca di emozioni adrenaliniche potrebbe essere una risposta all’ansia che proviamo quotidianamente affrontando la vita. Un’ansia che può divenire un peso, e che per questo alcuni gestiscono andando volontariamente incontro a una forma di paura. La paura che si può provare praticando sport estremi, e che è più facilmente controllabile da noi; perché siamo gli attori principali della nostra attività.
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Ana Carrasco spinal Injury
Una vicenda che ha colpito molti di noi, quella della spagnola Ana Carrasco. Campionessa del Mondo della Supersport 300 nel 2018, a settembre del 2020 è caduta, procurandosi una grave lesione spinale, con la frattura delle vertebre D4 e D6. Da subito ha dichiarato di non pensare minimamente al ritiro, e ha iniziato un lungo percorso di riabilitazione, che l’ha portata a tornare vincente (in basso, con il numero 11, tira il gruppo). Il 13 giugno a Misano è tornata alla vittoria!
Ana Carrasco

Se la regolazione emotiva avviene con successo – scrive Elisa Simeoni, autrice dell’articolo –, l’individuo riuscirà a diminuire la sua paura, trasferendo tale capacità di coping anche in altri ambiti di vita. In altre parole, l’individuo riuscirà ad affrontare gli stress prolungati incontrati nella propria quotidianità se si è sentito un agente delle proprie emozioni all’interno di un contesto di alta tensione per un prolungato periodo di tempo (Woodman et al., 2010). In questo senso, gli studi citati concettualizzano la ricerca del rischio attraverso lo sport estremo come un potenziale modello di sforzo umano per raggiungere uno stato futuro migliore, anziché come semplice ricerca di sensazioni (Barlow et al., 2013)“.

Interessante, vero? Tra l’altro torna con le parole di un grande campione del passato, Renzo Pasolini. “Un uomo coraggioso è colui che ha paura di fare una cosa, ma la fa lo stesso”. Pasolini aveva detto questa frase in un’intervista TV, per ribadire che non era vero che i piloti non avevano paura. Al contrario, si confrontavano (e si confrontano) abitualmente con questo sentimento.

Storie d’altri tempi: cinquanta anni fa gli incidenti gravi erano all’ordine del giorno, e i piloti morivano spesso. Lo stesso Pasolini scomparve il 20 maggio del ‘73 nel curvone di Monza, assieme a Jarno Saarinen.

Da molti anni ormai le piste stradali non esistono più nella MotoGP, e il vestiario tecnico dei piloti ha conosciuto uno sviluppo incredibile. Il risultato è che oggi per i piloti è normale cadere senza conseguenze. Al limite ci si rompe qualche osso, ma di solito nulla di più. Raramente ci sono dei morti, è vero, ma se si guardano le statistiche sono (fortunatamente!) pochissimi.

Ho parlato di questo in un’inchiesta che trovate pubblicata sul numero di agosto di In Moto, già in edicola. Il rapporto dei piloti con il rischio. Mi interessava scavare e capire come funziona la loro testa. Perché ero stato colpito dalla cerimonia folle di commemorazione di Jason Dupasquier sulla linea di partenza della gara di MotoGP al Mugello. Si coglieva dalle parole di alcuni piloti quanto fossero toccati da questa cosa. Eppure poco dopo hanno corso tutti, senza andare più piano.

E avevo trovato fastidiosi i commenti del mondo esterno, dei non appassionati di moto, di quelli che non sanno nulla della nostra passione e che danno giudizi parlando alla pancia di altre persone come loro.

Avevo voglia di raccontare la passione per le corse di moto vista dall’interno; io che mi sono confrontato spesso con queste riflessioni nel mio intimo, avendo giocato a fare il pilota a livello amatoriale. Per questo ho interpellato i piloti veri.
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Marc Marquez nel box
Cosa non farebbe un pilota per vivere e rivivere mille volte questa atmosfera magica dell’attimo prima di entrare in pista

Tutti gli intervistati ci hanno regalato qualcosa

Marc Marquez, Pol Espargaro, Alvaro Bautista, Leon Haslam, Pecco Bagnaia, Jack Miller e Ana Carrasco hanno risposto alle mie domande. Insieme a loro il più titolato dei piloti, Giacomo Agostini. Quindi un team manager come Francesco Guidotti, che di sicurezza ha parlato eccome. E poi Carlo Pernat, e il dott. Michele Zasa, direttore sanitario della Clinica Mobile, uno che i piloti li conosce da vicino.

Avrei delle annotazioni da aggiungere, perché ognuna di queste persone mi ha regalato qualcosa. Anche al di fuori delle dichiarazioni da riportare nell’articolo. Perché tutti loro, prima ancora di essere dei piloti, dei campioni, o degli addetti ai lavori del mondo delle corse, sono degli esseri umani. Con le loro emozioni, gli affetti, le paure, l’umanità.

L’inchiesta completa, come detto, la trovate in edicola. Le interviste di Marc Marquez e Ana Carrasco le ho invece anticipate su inmoto.it.

Ogni vostro contributo sarà benvenuto!

L’articolo di psicologia completo è QUI!
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Home Forum Il fascino sottile del rischio

  • Questo topic ha 6 risposte, 3 partecipanti ed è stato aggiornato l'ultima volta 1 anno, 10 mesi fa da sec.
Visualizzazione 4 filoni di risposte
  • Autore
    Post
    • #21171
      Mastic
      Amministratore del forum

      Mi sono occupato del rapporto che i piloti hanno con il rischio.
      L’ho fatto perché sono rimasto colpito dalla tragedia di Jason Dupasquier. E perché mi affascinava confrontare le mie riflessioni di ex pilota amatoriale con quelle ben più strutturate dei grandi professionisti.
      Ne è nata un’inchiesta per In Moto. E sul sito di In Moto oggi ho anticipato le opinioni raccolte da Marc Marquez e da Ana Carrasco: due piloti che si sono confrontati con incidenti che hanno messo a rischio la loro carriera e che sono tornati a correre (entrambi rivincendo).

      Qui su Motoskills ho riportato una parte di analisi psicologica degli amanti tipo degli sport estremi, nella quale ho pensato di riconoscermi.

      Argomento delicato, lo so. Ma se ne avete voglia dite la vostra!

      QUI l’articolo appena pubblicato

    • #21212
      cla_lo
      Partecipante

      Forse vado fuori tema. Ci sono anche i “piloti” ordinari che guidano una motocicletta e non amano gli sport estremi, ma accettano il rischio. Magari sono anche attempati e poco atletici e non è detto che corrano molto, ma su due ruote si rischia anche andando piano. Perchè lo fanno?

    • #21217
      Mastic
      Amministratore del forum

      Stringi stringi, le molle che ci spingono sono sempre le stesse; quello che cambia è la nostra risposta. Per dire che con spinte motivazionali simili facciamo cose più simili di quanto crediamo; anche se in apparenza differenti.
      Mio padre ha sempre odiato la mia passione per gli sport da contatto. I miei occhi neri e il mio naso rotto sono sempre stati derisi e condannati. Lui però ha fatto regate in barca a vela fino a 75 anni ed era aggressivo in regata. Eccome se lo era. Non credo che la sua aggressività fosse poi tanto differente dalla mia. Lo era nella forma, ma dietro, a guardarci bene, era sempre voglia di confrontarsi e PRIMEGGIARE.

      La moto è una scelta di vita che esibiamo. Lo facciamo per noi stessi, per raccontarci tutte le cose che ci diciamo da soli nell’intimo del nostro casco, ma anche per dire agli altri chi siamo, come siamo e che valori abbiamo.

      Sbaglio?

    • #21218
      cla_lo
      Partecipante

      Non sbagli. Se penso a certi sorpassi e al piacere di staccare tutti tirando fuori la potenza dalle ruote penso che hai ragione. C’è un’aggressività che cova in ognuno di noi e che spinge a prove di rischio delle quali ci rendiamo conto, ma non ne facciamo a meno. Ovviamente in me a un certo punto prevale la paura di andare oltre e torno tranquillo

    • #21220
      sec
      Partecipante

      ..intanto, nel week end ci siamo ricascati. Non c’e’ molto da dire perche’ la dinamica e’ letale, recidiva ed il senso di impotenza fa impazzire. Se con Dupasquier ci si rammaricava della giovane eta’… che dire di Hugo Millan.

      Bah. Non so se sono completamente d’ accordo con voi. Nel senso che il fascino del rischio e’ ovvio ed e’ tutto da imputare all’ adrenalina ed all’ emozione di “giocare col limite”: qualcosa potrebbe andar male… ma sai che figo se tutto andasse bene? Ci si sente un po’ speciali, ecco, e questa E’ una dinamica sana.
      Pero’ deve finir li perche’ se me la mettete sulla competizione e la voglia di primeggiare allora non e’ detto che non ci entri anche qualche elemento patologico che, di per se, non c’ entra necessariamente con la tematica. Forse non e’ bello farsi una bella guidata ispirata in moto, da soli, per il gusto di guidare? O scalarsi una parete rocciosa per lo sfizio di farlo? O tuffarsi da una scogliera di 50m d’ altezza per vedere cosa succede? Cosi’, per provare l’ adrenalina, senza competizione.
      Se ci buttiamo dentro il fattore competizione mi fate venire in mente le recenti dichiarazioni di Lorenzo, quando ha ammesso che lui correva esclusivamente per vincere… ed a me un po’ “curioso” m’ e’ parso, a dirla tutta. Io non capiro’ mai un motociclista professionista che non si diverte a guidare dal profondo dell’ animo. Prendete un cazzaro come me: in moto, come gia’ detto, non ci salgo piu’ da tempo, per scelta. Ma sul fatto che io ADORI guidare una moto non ho il minimo dubbio. Mi piace proprio “l’ atto”, le sensazioni.
      Il problema e’ che questi ragazzi della motogp cominciano troppo piccoli. A quell’ eta’ neanche si rendono conto cosa sia il rischio o cos’ e’ la paura. Quando lo capiscono sono gia’ nella massima categoria e troppo profondamente in ballo, non hanno molta scelta. Senza contare che e’ ovvio che la pista e’ pericolosa… ma come dice Claudio (e perfino gli stessi piloti professionisti, che come dice il capo neanche la guidano la moto in strada) la strada lo e’ infinitamente di piu’. In strada e’ pericoloso pure in bici…. tra i ns. eroi, Hayden ci ha lasciati proprio cosi’ e Bayliss ci si e’ scornato recentemente.
      Il problema vero della strada e’ che cosi’ com’e’ non e’ che e’ eccessivamente pericolosa. Lo e’, ma se fosse SOLO pericolosa allora la cosa avrebbe anche dei lati affascinanti, per il principio dell’ adrenalina di cui sopra. E’ che e’ diventata poco piacevole in rapporto al livello di pericolosita’. Troppa folla, troppo poca etica, troppa poca educazione e troppi “coinquilini” decisamente spiacevoli. Non un bel posto. La “barbarie” di cui parla Zio Franco.
      Dato che vado in moto – come si diceva – molto saltuariamente, mi capita che un momento prima di salirci ho mille paturnie e mille pensieri brutti. Appena metto in moto scompare tutto e mi diverto come un dannato, davvero. Il giorno dopo … non mi viene voglia di risalirci. Ed il giorno diventano anni.
      Vai a capire…. ma non credo sia un problema di “rischi” o “paure”.

      Argomento vastissimo, comunque….

      • #21221
        Mastic
        Amministratore del forum

        Il confine fra normalità e patologia è quantomai labile. Esistono persone che se non vincono non fanno sport, è vero. Fortunatamente sono poche. Qualcuna l’ho conosciuta.
        Lorenzo, no, lui non mi sembra rappresentativo. Perché è uno con le palle piene. Si è scocciato proprio, e sta recuperando un’altra vita. Si sta riappropriando della sua vita. Quindi ha addirittura astio nei confronti della vecchia vita. Un po’ anche come la volpe e l’uva. Perché se Domenicali non lo avesse (stupidamente) scaricato, lui con la Ducati avrebbe fatto scintille. E poi non è più riuscito a tirare fuori nulla di buono dopo. Così oggi spara addosso ai suoi ex colleghi su Instagram. Che forse potrebbe anche starsene in compagnia delle sue modelle senza rompere le palle agli altri. Credo che il suo conto in banca gli consenta di divertirsi per tutta la vita che ha davanti. Potrebbe anche farsi passare le paturnie

        • #21222
          sec
          Partecipante

          Il confine fra normalità e patologia è quantomai labile.

          Labilissimo. Con i “migliori” che svirgolano decisamente verso la patologia. Di Lorenzo gia’ si e’ parlato (… “por fuera”, si, fuera de cabeza 😀 ). Rossi non e’ che stia gestendo questa fase della carriera cosi’ bene. Avrebbe potuto buttarla sullo scherzo, invece e’ pieno di livore. Stoner, cacchio, lui lo adoravo… ma normale normale non era neanche lui. Ve li ricordate gli occhi di Fogarty, no?
          Insomma… le “seconde punte” sono gente di gran lunga piu’ normale. Crutchlow, Edwards (quello delle motogp perche’ in SBK era un altro animale), John Hopkins(!). HAGA 😀

          Ecco… magari Bayliss e Rea. Vincenti E normali. La classe non e’ acqua.

          Capo, mi dispiace di non aver potuto mettere le mani sul tuo articolo. Dove vuoi che lo trovi, da queste parti? 🙁

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