La mia storia d’amore con la Suzuki Katana
Rodolfo Frascoli in vita sua ha disegnato molte moto di successo, ma probabilmente verrà ricordato per aver reinventato la Suzuki Katana. 38 anni dopo l’originale, quando la rivisitazione delle moto classiche è arrivata agli anni Ottanta, ha capito che era il momento di riproporre prima possibile quella moto che per lui era stata un pugno nello stomaco
Non esiste motociclista cinquantenne che non ricordi la Suzuki Katana 1100. Quando fu presentata era la fine del 1980, e ruppe con i canoni tradizionali dell’estetica motociclistica.
Un progetto rivoluzionario, che fece storcere il naso a molti. E un amico che la comprò amava dire che era tanto brutta da essere bella.
38 anni dopo la Suzuki rispolvera la storica denominazione “Katana”, con una moto che riprende gli stilemi dell’originale; pur ovviamente in chiave moderna. E per tutti i motociclisti più anziani è stato come entrare nella macchina del tempo.
Per questo in Eicma non abbiamo perso l’occasione di incontrare il suo designer, Rodolfo Frascoli, al quale abbiamo chiesto: come ti è venuto in mente di rifare una Katana 38 anni dopo?
“Erano almeno 5-6 anni che avevo questo pallino. Quando la vidi, da ragazzino, fu un pugno nello stomaco. Non potevo dire che era una bella moto, ma era veramente diversa da tutte. E cercavo di metabolizzare le emozioni. Perché c’erano alcune cose che mi piacevano e altre che non mi piacevano. Ma mi prendeva di pancia”.
“Il revival delle moto di una volta esiste da tempo, ma piano piano ci si sposta con i periodi di produzione. Qualche anno fa si guardava agli anni Sessanta, poi ai Settanta. Quando siamo arrivati agli anni Ottanta ho capito che era arrivato il momento di rifare la Katana. Prima possibile. Perché negli anni 80 questa moto era incredibile, tanto che era più forte il marchio Katana che non quello Suzuki”.
Quindi non è stata un’idea di Suzuki?
“Questa moto nasce con un processo anomalissimo. È partita da una mia idea, e rispetto al mio progetto, in Suzuki hanno cambiato leggermente solo il fanale anteriore, per renderlo un po’ più vintage. Avevo già fatto due progetti con la Suzuki Giappone, ma proporre direttamente di rifare la Katana in quel momento non mi sembrava una corretta strategia. Allora, grazie anche agli amici e alle persone con le quali lavoro insieme, sono riuscito ad andare avanti da solo, e a presentare lo scorso anno in Eicma un prototipo funzionante. Fu un plebiscito: pubblico entusiasta, Suzuki entusiasta, in Giappone entusiasti. E Suzuki ha detto: la facciamo!”.
Un passo indietro. Chi è Rodolfo Frascoli?
“Sono un designer attivo dal 1984. Ho progettato per Gilera, Piaggio, Aprilia, Moto Guzzi, Moto Morini, Triumph, Yamaha, Polaris. Più alcune aziende cinesi e indiane. Tutti mi ricordano per la Moto Guzzi Griso, per la Vespa GranTurismo, per la Moto Morini Corsaro ZZ. Lo scorso anno ho fatto la moto di Valentino Rossi insieme a Yamaha, su base XJR1300. E sempre un anno fa anche la Triumph Tramontana, che è la versione racing della Tiger. Da circa 10 anni ho uno studio privato di design; e in casa ho una Griso, con la quale ho fatto una manciata di chilometri, prima di fermarla. Perché non posso vivere senza quella moto”.
Come sei arrivato a questa professione?
“Più che un lavoro è una passione. Mio papà era un pittore impressionista. Da lui ho ereditato la mano. A 12-13 anni ho avuto una folgorazione: comprando delle riviste di moto, ho capito che la mia vita doveva essere lì. Ho iniziato a disegnare, ma in quegli anni non c’erano scuole di design. Mio papà era operaio, mia madre casalinga. Non potevo andare all’Art College in Inghilterra, che neanche sapevo esistesse. Così ho iniziato di mia iniziativa, e a 18 anni ho trovato il primo impiego presso Luciano Marabese -il padre di molti modelli Piaggio, Gilera e Aprilia, ndr – che mi ha accolto subito. Con lui ho lavorato tanti anni”.
Torniamo alla Katana, e a questa idea di riprendere le linee del passato
“Non tutto ciò che è passato è buono. Ci sono delle idee buone, ma altre cose non ha senso replicarle adesso. La coda della mia moto è molto diversa da quella originale, che era una semplice sella bicolore con un fanale quadrato. Banalissima. Così l’ho ristudiata da zero. Perché il passato se non viene reinterpretato è qualcosa di già visto. Mentre bisogna sempre cercare di migliorare ciò che era stato fatto precedentemente”.
Per voi designer, quanto è frequente il ritorno al passato, piuttosto che la ricerca di un’idea nuova?
“Dipende da cosa si progetta. Con un’Adventure o una Supersportiva si guarda sempre avanti, e al massimo si fa riferimento al modello precedente. Diverso il caso delle moto classiche. C’è il filone importantissimo degli anni 60, con la Triumph Bonneville e la Ducati Scrambler. E lì devi avere la storia dentro di te, devi sentirla tua, perché non basta studiare e informarsi”.

E un progetto come l’originaria Katana come nasce?
“il mese scorso, quando ho portato la mia moto a Colonia, non c’era Hans Muth, che era il titolare del laboratorio di design che realizzò la prima Katana, ma ho conosciuto comunque chi la disegnò. Fu un progetto di rottura, con la Suzuki che chiese al team di Muth di fare qualcosa di innovativo, senza fargli un vero e proprio briefing. Ed è nato questo taglio fortunato del serbatoio, che va verso il puntale. E con esso una moto che non è stata mai dimenticata”.
Più in generale, come nasce una moto?
“Il cliente ti dà un briefing, e ti dice che devi fare la tal moto, aggiungendo degli input. Ti dice cosa puoi cambiare, se si può pensare un nuovo telaio o se bisogna tenere quello vecchio. Ti dice il target, anche di prezzo. Perché se fai una moto che è un’opera d’arte ma costa 50mila euro, lavori un mese, poi ti dicono di andare a fare l’artista da qualche altra parte”.
“Ovviamente ti danno le quote ciclistiche, a meno che non si tratti di un progetto totalmente nuovo. In quest’ultimo caso c’è anche margine per proporre; tenendo a mente che ci sono delle quote tipiche legate alla tipologia di moto. A volte le case aggiungono dei suggerimenti, ma a me piace lavorare libero, e si fa sempre in tempo a correggere”.
Quanto tempo serve per disegnare una moto?
“Da un minuto a 10 mesi. A volte viene subito, a volte no. Che poi le case ti danno al massimo 3-4 settimane, quindi l’idea deve venire per forza!”
E quali sono le varie fasi del lavoro di sviluppo di un’idea?
Io parto da uno schizzo fatto a penna, poi vado subito al computer e tiro fuori un concept in 2D, con programmi tipo il Photoshop. Questo lo porto in approvazione alla casa. Una volta passato, faccio tutte le viste in 2D, e le superfici preliminari in 3D. Virtualmente si costruisce il modello, per capire e verificare alcune cose fondamentali. Se ci va la cassa filtro, la capienza del serbatoio, se il manubrio gira, se la sella è abbastanza lunga, se c’è la clearance quando pieghi, se è omologabile”.
“Dopo questa fase investigativa si parte con il clay, un pongo di altissima qualità e costo, che consente di costruire la moto, trasferendo nelle tre dimensioni i tuoi sogni”.
“Una volta che la moto è approvata si scansiona. E questa è una fase clamorosamente impegnativa, che coinvolge ogni millimetro e che può durare un anno e mezzo”.
“Fondamentalmente, se non hai il motore da fare nuovo, per fare una moto da quando la cominci ci vogliono due anni, due anni e mezzo, considerando anche i test. Se c’è pure il motore, anche 3-4 anni”.
Quanto siete limitati voi designer da esigenze di industrializzazione o di aerodinamica?
“Siamo abbastanza liberi, a parte le supersportive, che hanno esigenze di aerodinamica sia come penetrazione che come carico sull’anteriore. E a parte anche le superturismo, che hanno grandi carene, per le quali devi considerare protezione e turbolenze. Poi ci sono le Adventure, per le quali vanno ancora considerate le turbolenze. Sulle altre moto non ci sono problemi di aerodinamica, a meno di fare cose strane”.
“Quello che limita, come già detto, è l’esigenza di contenere i costi di industrializzazione. Quindi, ad esempio, il serbatoio in lamiera deve avere delle superfici gentili; una carena deve essere stampata in una determinata direzione, senza fare troppi pezzi. Altrimenti rischi di fare un bellissimo disegno, ma quando la presenti nessuno sorride e la moto viene abortita. E tu non lavori più. Ma sono tutte cose che si acquisiscono con le esperienze, anche quelle negative che si fanno da giovani”.
“Tutti i giovani studenti, ad esempio, fanno dei fanali cattivissimi, tanto belli quanto irrealizzabili. E allora gli ingegneri li fanno rifare, perché la dimensione del fanale non è negoziabile. E allora si modifica, e si finisce per avere un prodotto che ti dicono “non è male”. E quando ti dicono così è la morte”.

Ci sono delle dotazioni in arrivo che cambieranno il design?
“Probabilmente fanaleria e tecnologia in generale ci riservano delle sorprese. Basta guardare alle auto, che di solito ci anticipano di dieci anni. Non perché i designer auto siano più bravi, ma perché hanno più soldi. Li si spendono centinaia di milioni di euro, mentre con le moto si orbita intorno ai 2-3. E in certi casi neanche un milione ti mettono a disposizione”.
“Ma c’è anche un discorso di ingombri: le auto crescono in dimensioni, mentre noi vogliamo compattare. Guardate i codoni: una volta erano grandi, oggi si tirano via, perché tutto deve essere intorno al pilota. Anche se il passeggero si lamenta”.
Insomma, come saranno le moto del futuro?
“Non so mai come rispondere a questa domanda! Credo che dovranno avere sempre più carattere. Fare un bel fianchetto è infatti alla portata di tutti. Creare un’armonia generale, fortunatamente meno. Ma quello che conta è fare moto di carattere. E questo è difficile, perché ci vuole lo stile, e una moto coerente con il brand”.
Quante persone lavorano con te?
“Disegno da solo. Mi piace svegliarmi al mattino e avere questa missione. Ho un network che mi assiste nelle superfici 3d e nella modellazione. Ma la mia è una società 4.0. Non mi serve avere le persone fisicamente presenti; collaboriamo via Skype. E quando c’è da fare i clay o li faccio nelle aziende o me li faccio da solo sfruttando due strutture con le quali collaboro, perché mi piace modellare”.
Che moto possiedi?
“Una Moto Morini Corsaro 1200, con la quale ho fatto di tutto e di più, compreso toccare il ginocchio. Ho una Moto Guzzi Griso, una Triumph Tiger 1050, perché il 1200 non l’ho disegnato io. Un paio di scooter. Ho anche una vecchia Aprilia Pegaso”.
Tutte moto disegnate da te. Che effetto fa quando qualcuno si ferma e guarda una tua moto?
“Fantastico, ma dipende da quello che dice! Io ho un certo understatement, non mi piace essere troppo protagonista. Quindi, magari la parcheggio e mi metto lì vicino. Mi piace anche andare in giro con dei prototipi. Perché mi piace anche dare indicazioni sull’ergonomia e per questo guido. Allora la parcheggio lì e mi piace ascoltare. Non mi piace intervenire, perché altrimenti influenzerei”.
“L’appassionato a volte è illuminante. Uno cura la curva della fiancata, il suo raggio, poi arriva l’appassionato e dice ‘che marmitta hai messo??? Ma fai la marmitta così!’. E ti illumina. Perché lui guarda cose più veraci. Perché è vero che un determinato dettaglio può essere bello, ma non ti devi mai dimenticare delle cose che fanno impazzire gli appassionati”.
Avete fatto studi su chi comprerà la Katana?
“No, siamo andati a pelle. Credo che prenderemo una clientela agli antipodi. La prima parte sono quelli come noi, che conoscevano l’originale e oggi non vedono l’ora di usarla. Poi ci sono i giovani, che la conoscono oggi. Ma speriamo di prendere anche i 35enni”.
Per approfondire il lavoro di Rodolfo Frascoli potete dare un occhiata al suo sito Internet
http://www.frascolidesign.com/
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