La favola amara del TT dell’Isola di Man
Appuntamento magico e maledetto, il Tourist Trophy dell’Isola di Man continua a dividere. Da una parte ha il fascino di un evento straordinario e unico, dall’altra un tasso di mortalità considerato inaccettabile già 50 anni fa. E dopo i 5 morti di quest’anno i dubbi tornano a crescere
Il TT è una figata! Chi di noi ogni tanto non si trova a sognare guardando i video dei passaggi più spettacolari o i camera bike? Il Tourist Trophy dell’Isola di Man è un evento grandioso, al punto che i posti per dormire e persino quelli sui traghetti vengono prenotati con un anno d’anticipo. Un happening incredibile di grande passione motociclistica, al quale almeno una volta nella vita si deve andare.
E pensare che una volta era caduto in disgrazia. Faceva parte delle prove del Campionato Mondiale Grand Prix, ma iniziò a essere considerato anacronistico. Era l’epoca nella quale si stavano mettendo in discussione i circuiti stradali per la loro pericolosità. La goccia che fece traboccare il vaso probabilmente fu la morte di Gilberto Parlotti sulle strade di Man, nel 1972. Il suo amico Giacomo Agostini, che pure di TT ne aveva vinti 10, decise di non metterci più piede. Nel 1976 il Tourist Trophy fu estromesso dal calendario mondiale. E gradualmente, nonostante la creazione del Campionato Mondiale Formula TT, scivolò nel limbo delle corse maledette.
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La rinascita degli anni Duemila
A rivitalizzare questo fossile vivente del motociclismo hanno pensato gli organizzatori, nel nuovo secolo. Hanno messo su una buona campagna di comunicazione e d’immagine, per quella che ancora oggi viene definita la più bella gara motociclistica del mondo. Hanno pagato buoni ingaggi ai piloti, mantenendo folta la lista degli iscritti. Piano piano sono riusciti a rialimentare il fuoco della passione. Hanno ricreato quell’aura di miticità che tanto attrae. Hanno sdoganato nuovamente la gara maledetta. E le case ci si sono rituffate, perché il TT richiama tantissima gente, ed è un bel business. Pochi anni fa lo schifavano perché lo ritenevano troppo pericoloso, ora sono tornate a sposarlo come un evento bellissimo. Del resto, il dato diffuso dall’amministrazione dell’Isola parla chiaro: nel 2018 ci sono state 61mila presenze collegate alla gara, che hanno speso 44 milioni di sterline (circa 51 milioni di euro): il 40% del totale annuale degli introiti derivati dal turismo.
E così la spirale ha ricominciato ad autoalimentarsi, con tutti intenti a soffiare sul fuoco dell’epicità di una gara storica, tradizionale, dove conta l’uomo più che l’elettronica. Dove si corre come una volta.
Non ci voleva molto. I piloti del TT fanno cose incredibili lungo quel folle tracciato da 60 km, dove si vola a 210 km/h di media (e oltre) fra muretti, marciapiede, palazzi e lampioni; con scollinamenti, salti e… avvallamenti.
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Uno spettacolo superadrenalinico

Così ecco pronte nuove schiere di appassionati motivati a seguire questa storica gara stradale, e a difenderla dicendo che quei piloti corrono per passione, sapendo di partecipare a una gara dove il primo errore può essere anche l’ultimo. Gente che magari non ha neanche mai giocato ad andare forte sul serio in strada, e non si rende conto di quanto vadano di più quelli lì.
Il TT è tornato a essere quell’evento in grado di eccitarci da matti, facendoci salire l’adrenalina anche se siamo seduti in canottiera davanti al computer, con il naso nello schermo. Sono belle le immagini, bellissime grazie a una produzione video di livello. Sono bravi i piloti. E c’è la componente rischio (degli altri) che tanto ci piace.
Il rovescio della medaglia di questo spettacolo incredibile è però proprio il rischio. Dall’edizione del 1907, i morti sono 265. Una media di quasi 3 per ogni edizione. Quest’anno sono stati 5, uno in meno del 1970, l’anno del record negativo, con 6 morti. Più i feriti, ovviamente. Il 1982 fu l’unico anno nel quale si corse senza neppure un morto.
Diavolo, nelle corse può succedere! McGuinness, che di TT ne ha vinti 23, recentemente ha detto che nessuno ti punta la pistola alla testa per andare a correre sulle strade dell’Isola. E nei pub il detto più popolare da sempre è che il gas gira in due versi, sta a te decidere se e quanto aprirlo.
Tutto vero, ma qui c’è qualcosa in più che non va. Qui praticamente si sa che succederà!
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The show must go on?
Sono questi i ragionamenti che hanno iniziato a rimbalzarmi dentro la testa sempre di più quest’anno. Seguivo le gare, vedevo i video, poi ogni tanto mi arrivava in mail un comunicato stampa il cui titolo era: “Statement issued from the Isle of Man TT Races”. Era il titolo riservato agli annunci di morte. E pensavo all’immagine cruda di quella persona in terra, che si contrapponeva ai festeggiamenti, alla folla eccitata, ai miei amici in visibilio per questa gara da veri duri.
Leggevo i comunicati, che inevitabilmente si chiudevano con le profonde condoglianze alle famiglie dei defunti. E mano a mano mi saliva un sentore di ipocrisia. E avrei voluto ricordare a chi gioiva eccitato, che c’era del sangue in terra. Perché ci si intristisce quando in MotoGP c’è un morto, mentre al TT fa parte del gioco e il pensiero deve andare altrove.
Ecco, mi ha colpito questa ipnosi diffusa per cui si gioisce, ci si eccita, si ride, si festeggia, si bevono le birre, mentre qualcuno come noi, che potremmo essere anche noi, si è spalmato sulla strada.
Io il TT lo odio. Io il TT lo amo. Ha ragione il giornalista inglese Mat Oxley, che se ne intende visto che lui non solo ci ha corso, ma lo ha anche vinto: tutti amano e odiano questa gara, compreso il citato McGuinness. Anche io, che ne parlo male, poi sono ammaliato dal suo fascino.
Amo la guida veloce su strada, mi piace la danza delle curve quando si prende il ritmo, e pur criticando il TT, riconosco di esserne attratto. Riconosco che avrei voglia di fare un giro su quella strada. E magari in un’altra vita avrei anche accettato di correrci. Raccontandomi la favola che sarei stato attento a prendere con le molle quella strada così difficile.
Però l’ipocrisia no. Non pigliamoci in giro. Non facciamo finta di cadere dal pero quando dobbiamo parlare di un pilota, di un appassionato morto. E togliamo l’alone di leggenda. Leggo di onore per chi corre, addirittura di eroismo. Due concetti molto alti che non c’entrano nulla con noi, che siamo solo schiavi di una incredibile passione e dipendenti dall’adrenalina. Drogati.
Torniamo a dare alle cose il loro giusto valore. Poi ricominciamo a parlare del TT, per capire come gestire questo grandissimo evento che ha bisogno di ricalibrarsi. Perché in 30 anni sono cresciute di quasi 20 km/h le velocità medie sul giro. Sono cresciute le moto e sono cresciute le gomme. Ma la strada del Mountain è rimasta sempre la stessa.
Tutto cambia, tutto si evolve. A volte tutto dolorosamente finisce.
Forse sarebbe ora di rendersi conto che il TT è fuori dal tempo. O no?
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Confermo, il mio “Fuori dal tempo”… Ragazzi, ma se hanno modificato, se non escluso fior di di piste, ritenute non più sicure e dotate degli spazi di fuga necessari, per le ormai debordanti, prestazioni raggiunte dalle moto da corsa, potrà mai esserlo un circuito stradale?
Facciamo a capirsi, se guardo la gara…mi emoziono, mi diverto e mi piace pure!…per due minuti, poi rifletto che lo stanno facendo con una SBK🙈fra cordoli, lampioni, alberi e case e spengo la tv…è troppo, la favola del gas che si gira in due modi, potrà reggere per noi semplici motociclisti, ma per un pilota no…certo, nessuno punta un’arma contro nessuno , ma se quella gara, ed il relativo ingaggio, fosse più importante della sua stagione?…