Imparare a gestire l’aderenza studiando il cerchio d’attrito

Nel gergo tecnico si chiama cerchio d’attrito, ed è la chiave per imparare a sfruttare al massimo l’aderenza offerta dagli pneumatici. Il trucco è saper lavorare di freni, gas, traiettorie e spostamenti del corpo

Lo abbiamo chiamato Technical Forum, ed è un progetto di approfondimento di temi tecnico-motociclistici.
Il punto di partenza è una lezione teorica tenuta dal nostro Luca Fiorentino, in occasione della visita in Hondaa. Successivamente questa viene ripresa, commentata e ampliata qui sulle nostre pagine.
Il tema proposto in questa occasione era il cerchio d’attrito, un concetto focale nella gestione di qualunque mezzo a due ruote, sia che si cerchi la sicurezza nella frenata in una guida urbana, sia che si voglia spingere al massimo nelle prestazioni in pista. “Non a caso -dice il nostro amico @lukethebike- il cerchio d’attrito è ciò di cui discutono continuamente i piloti con i loro ingegneri: la loro possibilità di essere veloci passa dall’avere un cerchio d’attrito il più grande possibile e dalla capacità di sfruttarlo al massimo“.

Le premesse tecniche

Per capire di cosa stiamo parlando, la presentazione illustrata da Luca parte da alcune quote caratteristiche del telaio, rappresentate schematicamente nella slide in altro. Le più semplici sono il baricentro, l’interasse, l’avancorsa, l’angolo di sterzo. Poi ci sono i tre assi sui quali la moto può muoversi: l’asse di rollio (inclinazione in curva), l’asse di beccheggio e l’asse di imbardata. Luca introduce anche il concetto di offset, il disallineamento fra l’asse degli steli della forcella e quello del cannotto dello sterzo, usato dai telaisti per modificare l’avancorsa senza variare l’inclinazione della forcella. Al pari di un altro trucco non visibile nella slide, che consiste nell’avanzare o arretrare il perno ruota, rispetto agli steli.


Da qui il passaggio alla situazione dinamica della curva è semplice. Per effetto dell’inclinazione della moto sull’asse di rollio, il baricentro combinato moto+pilota si sposta all’interno, e ne nasce in accelerazione una coppia che tende a innescare l’imbardata. Vale a dire: la moto tende a chiudere la curva.


Succede per una serie di motivi, e per comprenderli si passa attraverso l’avancorsa. Se ci pensate, il punto di appoggio del pneumatico a terra è arretrato, rispetto all’asse di sterzo. Questo significa che quando sterziamo da una parte (nella figura il manubrio gira verso sinistra), in realtà spostiamo il punto di contatto della ruota dall’altra parte (nel nostro caso verso destra).
Unitamente all’effetto giroscopico, che in questo caso crea una coppia che tende a far inclinare la moto proprio verso destra, questo fa si che la ruota anteriore sia già all’interno della traiettoria che vogliamo percorrere. Vale a dire che l’asse fra i due punti di contatto a terra delle due ruote sia già spostato nella direzione nella quale vogliamo curvare.
Ecco perché per girare si controsterza!
Di più: lo spostamento all’interno del baricentro, genera una forza centripeta (quella che fa girare la moto intorno all’ipotetico centro di curvatura) maggiore della forza centrifuga (quella che invece la farebbe partire per la tangente).


A Luca premeva anche chiarire quanto pericoloso sia intervenire a caso sulle quote della ciclistica. Passando attraverso l’illustrazione del concetto di SAG, vale a dire le misure caratteristiche di altezza, che la moto deve avere in relazione all’escursione delle sospensioni in situazione statica, eccolo spiegare dunque il funzionamento di forcella e monoammortizzatore.
Capito che le sospensioni sono fatte per lavorare in un range rappresentato dalla loro escursione utile, ecco che è facile intuire come la moto sia concepita per essere utilizzata in un ampio margine di situazioni, mantenendo sempre la funzionalità delle sospensioni. E perché queste funzionino correttamente, debbono avere il carico giusto. Così si torna al SAG.


Il riferimento del nostro tecnico è per la pratica di sfilare gli steli delle forcelle, in alto o in basso. Alzando l’anteriore della moto, si ottiene infatti un aumento dell’avancorsa (sterzo più duro e minore maneggevolezza), con uno spostamento verso l’alto e un arretramento del baricentro. Insomma, si ottiene un avantreno più stabile, ma molto più leggero, con una disposizione dei pesi alterata.
Al contrario, sfilando gli steli, in modo da abbassare la parte anteriore, si ottiene l’effetto contrario. E in questo caso il rischio, più che nella leggerezza dell’avantreno, sarebbe nascosto nella diminuzione dell’avancorsa, che ridurrebbe la stabilità della moto e dello sterzo.
Dovendo intervenire sull’altezza della moto, meglio lavorare sul posteriore, dice Luca. Che però mette in guardia: ogni intervento che fate in questo senso, vi avvicina ai limiti del veicolo.

E siamo al cerchio d’attrito!

Per comprendere la rappresentazione grafica che prende il nome di cerchio d’attrito, dovete immaginare di poter esprimere la forza d’attrito che un pneumatico può esercitare sull’asfalto come un’area. Nell’immagine vedete una piccola area ovale grigia, che rappresenta l’impronta a terra del pneumatico. È contornata da un’area gialla di analoga forma, che rappresenta il cerchio di attrito.
Partendo dal centro, la misura della forza d’attrito esercitabile a terra equivale alla lunghezza della freccia che raggiunge il bordo del cerchio d’attrito. La freccia verticale in avanti (decelerazione) rappresenta dunque la massima forza frenante che possiamo applicare a terra andando dritti. La freccia perpendicolare a destra costituisce invece la massima forza d’attrito (forza centripeta) applicabile per curvare, in assenza di azione frenante. In mezzo ci sono quelle situazioni nelle quali si frena e si curva simultaneamente, nelle quali, possiamo disporre di una percentuale di aderenza per frenare e di un’altra per curvare. Sempre rimanendo nel cerchio d’attrito. Perché uscire da questo significherebbe perdere aderenza e cadere.
Se vogliamo curvare più forte, dovremo frenare meno, se vogliamo frenare di più, dobbiamo ridurre il raggio di curvatura.
Tutto qui? No, perché in mezzo c’è la variabile peso. L’area del cerchio d’attrito è determinata infatti da una serie di parametri, come espressi dalla formula che vedete nella slide (Fd= μ x P x A), fra i quali rientra il peso. È intuitivo dunque come l’uso del trasferimento di carico per caricare di peso la ruota dove abbiamo bisogno di più aderenza sia una capacità fondamentale per il pilota. Anche per questo (non solo) i piloti frenano fino al punto di corda quando entrano in curva. Per tenere caricata la ruota anteriore e aumentare l’aderenza sul punto di contatto con il terreno che usano per direzionare la moto. Al contrario, è fondamentale per loro, prima di riaprire il gas, riuscire a scaricare il peso indietro, per aumentare l’aderenza della ruota posteriore.
E qui ci viene in mente che, non a caso, negli ultimi anni l’evoluzione dello stile di guida ha portato i piloti a spezzare la traiettoria di curva, raddrizzando prima possibile e dando gas prima possibile. Uno stile che dobbiamo molto a Daniel Pedrosa, un pilota leggerissimo, che con questo artificio stilistico riesce a caricare la ruota posteriore. Ciononostante, quest’anno ha sofferto a volte di spinning, più di altri piloti più pesanti.

Intorno a questo concetto, ovviamente si studia tantissimo con la telemetria. E una delle cose che sono emerse è la necessità di evitare al massimo la guida di braccia.
Ricordate che l’avancorsa trascina il punto di contatto del pneumatico al di fuori dell’asse longitudinale della moto, costringendo il battistrada a uno sforzo di aderenza sull’asfalto? Quello sforzo è tutta energia che si sottrae a quella disponibile nel cerchio d’attrito. Così i piloti hanno imparato a guidare il più possibile con il corpo, assecondando il manubrio. Cosa che vale anche nelle frenate d’emergenza, quando non bisogna fare mai forza sul manubrio, per non sottrarre forza d’attrito a quella utilizzabile per la decelerazione.

Gli altri cenni

Sapete cos’è la deriva per un pneumatico? Tecnicamente si traduce come uno scivolamento laterale, uno scarroccio. Se la nostra moto soffre di deriva del pneumatico anteriore, cosa ad esempio che può verificarsi con una pressione d’uso troppo bassa, quello che succede è che la moto diventa sottosterzante.
Nell’immagine V1 e V2 sono le direzioni reali nelle quali si muovono in curva le due ruote di una moto. Quando l’anteriore soffre di deriva, ne risulta un aumento del raggio di sterzo, con il centro di curvatura che esce e si allontana dalla traiettoria ideale.
Anche in questo caso, la superiore ampiezza dell’angolo α1 indica una superiore quota di energia sottratta al cerchio d’attrito.

Perché si usano le pinze a più pistoncini? Pensereste a esigenze di raffreddamento, vero? In realtà il motivo, come si vede dallo schema della slide, è nel fatto che, a parità di superficie dei pistoncini, mettendone di più piccoli si può aumentare il diametro effettivo del disco, godendo di un superiore braccio di leva. E il frequente pistoncino d’uscita più grande, è motivato dal fatto che in determinate condizioni la pastiglia tende a consumarsi di più nella zona d’entrata. Uno squilibrio che si corregge montando un pistoncino più potente nella zona d’uscita.

Il tiro catena è un parametro importante da tenere in considerazione, perché un corretto posizionamento del polo dei momenti aiuta la sospensione posteriore a lavorare al meglio nelle fasi di accelerazione. Serve allora che l’angolo del tiro catena, α, sia sempre inferiore a quello del trasferimento di carico, β. Non dovesse essere così, si rischierebbero forti compressioni della sospensione posteriore in accelerazione.

Ancora due cenni del nostro Luca su come si tira la catena di trasmissione finale e perché questa ha un gioco variabile in funzione dell’escursione della sospensione posteriore.


E poi il funzionamento dei pneumatici in situazioni di pressioni scorrette, troppo alte o troppo basse. L’ultima immagine della slide è relativa al funzionamento delle gomme slick, che quando sono in temperatura aderiscono perfettamente all’asfalto, adattandosi alle più piccole rugosità. Su strada però il loro comportamento tende a essere infido perché, a differenza delle gomme stradali, che dai 40-50 gradi già sono nel loro range di funzionamento, le slick per funzionare hanno bisogno di raggiungere almeno i 70 gradi. Diversamente scivolano e tendono a “strappare” sul battistrada.

Ultima slide per Aladino Fiorentino. Al primo colpo d’occhio potreste pensare che si tratti di Luca. Invece è suo fratello, scomparso pochi anni fa. Qui è stato fotografato alla Motocarbonara, una manifestazione che organizzammo a Roma. Luca e Aladino parteciparono. E per Luca fu un’occasione di argomentare su temi tecnici con altre persone. Il commento del fratello fu che Luca era straordinariamente comprensibile. Molto di quello che oggi stiamo facendo ha avuto origine da questa frase dell’amato fratello di Luca, oggi scomparso.
Vi abbiamo inserito questa slide perché sappiamo che Luca ci tiene in qualche modo a dare un riconoscimento postumo ad Aladino, che lo ha spinto a intraprendere anche questa strada di divulgatore.

Ed ecco il nostro divulgatore in aula!
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