Giuseppe Andreani “spiega” le sospensioni
Giuseppe Andreani, ex crossista di livello Mondiale, si è appassionato alle sospensioni quando correva. Oggi con l’AndreaniGroup rappresenta la Ohlins in Italia e Spagna, e segue ufficialmente diversi campionati e team; oltre a fare corsi sulle sospensioni. Intervistarlo è stato facilissimo. Gli abbiamo chiesto di spiegarci cos’è una sospensione e a cosa serve, lui ci ha travolto con la sua passione e tanta competenza
Nel mondo della moto tutti lo considerano il guru delle sospensioni. Ha iniziato a occuparsene quando ancora correva, e si è rapidamente scoperto bravo a metterle a punto. Così la passione di Giuseppe Andreani, trenta anni fa, quando ha appeso il casco al chiodo, è diventata un lavoro. Oggi il tecnico (e manager) pesarese ha da tempo legato il suo nome a quello della Ohlins, una delle case di punta nel mondo delle sospensioni.
Lo abbiamo incontrato al suo stand, in occasione di Eicma, e gli abbiamo chiesto di introdurci al mondo di ammortizzatori e forcelle, per capire qualcosa di più su come funzionano. Prima però gli abbiamo chiesto di raccontarsi un po’, e di presentarci l’AndreaniGroup.

“Vengo dal Motocross. Sono stato pilota professionista per una decina d’anni nel Mondiale, dove sono riuscito a vincere 9 gran premi. Quando ho smesso, nel 1988, ho aperto una mia scuola di Motocross, che era il mio sogno da sempre. E ho lavorato tantissimo per trovare il modo migliore di aiutare gli altri piloti, usando la mia esperienza”.
“Contemporaneamente avevo già iniziato quella che allora si chiamava White Power Italia. E dopo un po’ di anni quel lavoro sulle sospensioni mi ha preso, e ho iniziato a entrare anche nel mondo della strada e della pista, che è un universo più grande. Di lì mi sono fatto negli anni tantissima esperienza, sono stato in pista tanto tempo a contatto con i piloti, sempre con la voglia di ricercare. E piano piano sono arrivato alla situazione attuale, che vede il mio lavoro molto improntato sulle gare. Non tanto perché è fondamentale per l’azienda, che vive di tante altre cose legate alla sospensione; piuttosto perché mi piace”.
“Abbiamo 7 camion assistenza, e moltissimi tecnici. Seguiamo tutti i campionati, di bici e di moto, di pista, di fuoristrada e di Supermotard. E siamo molto inseriti anche nelle auto. Principalmente operiamo in Italia, ma abbiamo anche una filiale in Spagna, la Andreani NHS, che ha sede a Barcellona, e vi lavorano 14 persone. Lì seguiamo il CEV, il Campionato Europeo Velocità, e i campionati spagnoli. Magari valuteremo anche di allargare ancora, ma le cose bisogna farle bene, perché gestire troppe cose può diventare difficile”.
Dunque operate come service nelle competizioni. Seguite anche l’appassionato che vuole intervenire sulla sua moto?
“Si, non direttamente, ma attraverso la nostra rete di rivenditori”.
Veniamo alle sospensioni: potremmo definirle un componente chiave per ottenere una buona prestazione?
“Si, certo, ma, soprattutto se parliamo di pista, più si sale di livello e più risultato e performance dipendono dal pacchetto della moto. Se mai esistesse un buonissimo ammortizzatore, e spererei di averlo io, potrebbe comunque dare un 30-40% in più di performance. Se però mettiamo che la forcella viene montata 5 mm più su o più giù, se la ruota dietro non è posizionata dove dovrebbe ottimalmente stare, le performance non ci saranno. Sulle moto Supersport e Superstock si gioca tutto al millimetro. Ci sono delle posizioni che col tempo trovi, delle geometrie che devi rispettare. E questo vale, con i suoi limiti, anche per chi va a girare la domenica. Pure se sta dieci secondi più alto di chi fa il Mondiale”.

Qual è il plus di una buona sospensione?
“In buona parte la capacità di farti sentire cosa sta facendo la gomma. Un buon ammortizzatore ovviamente assorbe le asperità, e non può essere rigido, se no se c’è uno scalino voli via. Deve essere duro, deve essere controllato, e non deve avere movimenti estranei al suo compito. Solo così senti perfettamente cosa la gomma sta facendo sull’asfalto. E se il segnale è nitido, spingi un pochino di più.”
“Questa cosa l’ho imparata quando avevo la scuola di Motocross. Avevo studiato la psicologia della paura. Scoprendo che c’è questa parte, io la chiamo ironicamente la scatolina – e indica la testa, ndr – che conosce i nostri limiti, la nostra bravura nel rimediare agli errori e la capacità di risolvere le situazioni critiche. In quella situazione lì tutto funziona bene, ma quando la situazione si fa oscura, quando non senti e non capisci, automaticamente la scatolina telefona al corpo e gli dice ’chiudi che qua non butta bene’. È l’istinto di autoconservazione, che tutti noi abbiamo”.
“Il danno grande è che non si tiene in considerazione questo legame tra la psiche e la moto. Prendete l’esempio di Marquez, che adesso riprende la moto anche quando gli parte davanti. Sicuramente lui è più coraggioso di tanti altri piloti, ma non è scemo. Piuttosto lui ha delle caratteristiche tali, a partire dall’agilità fisica e dalle capacità di guida, che ha dimostrato a se stesso che se la perde davanti o dietro non è ancora caduto”.
“Un buon ammortizzatore è fondamentale in questo, perché ti trasmette fedelmente ciò che la gomma a terra sta facendo. Ma attenzione, perché serve anche la manutenzione”.
Perché le sospensioni si degradano con il tempo?
“Un buon ammortizzatore nasce con controlli e tolleranze strettissime. L’olio deve fluire solo nei passaggi giusti, dove lo si può controllare e regolare; e non per vie strane. Ma un buon ammortizzatore resta tale se non ha aria dentro. Dopo tante ore di funzionamento si forma del gas al suo interno, che si miscela con l’olio. Lo vediamo facendo i test al banco. A inizio corsa quando c’è gas c’è un tratto ‘vuoto’ di un millimetro di corsa, che a occhio neanche è possibile rilevare magari. È lì che nasce quell’ondeggiamento continuo e leggero in curva che confonde il pilota. Perché l’ammortizzatore cede prima di iniziare a lavorare, e dà al pilota un segnale sbagliato, che non fa capire se è la moto che si muove o se è la gomma che sta perdendo aderenza. E allora vai più piano, senza neanche accorgertene”.

Prima però, ci dicevi, viene la messa a punto ciclistica
“Certo. Se hai la moto troppo bassa davanti perché hai sfilato troppo le canne della forcella, quando entri in curva e cominci a chiudere hai tanti chili davanti e pochi dietro. Quindi il davanti lo perdi, ti si chiude perché troppo carico. Oppure perdi il dietro, appena poggi il gas. Al contrario, se sei troppo carico dietro, davanti non riesci a metterla giù, la moto fa fatica a curvare. E cadrai facilmente perché perderai sempre il davanti. Quindi avere una moto bilanciata, con le giuste altezze e i pesi distribuiti nel modo giusto, è fondamentale”.
“A volte – continua su questo tema al quale evidentemente tiene molto, ndr – si vedono moto alzate senza un senso. Leveraggi posteriori che alzano di 2 centimetri. Ma sulle moto si parla di millimetri, non di centimetri! Capisco che può essere bello un codone che spara verso l’alto, ma alzare una moto dietro vuol dire che chiudere l’angolo di sterzo, e modificare l’avancorsa. Basta alzarla 5 mm per cambiare tutti i parametri. Non è solo il fatto che mette più peso davanti, c’è anche un angolo di sterzo 0,2-0,3 gradi più chiuso. Vuol dire che anche in autostrada, sul veloce, la moto diventa più pericolosa. E dopo perdi fiducia nella guida. Senza contare che se arrivi lungo in frenata ti chiude l’avantreno”.
Fra piloti e amatori le tarature cambiano molto?
“Se parliamo di Motocross si. Chi va tanto forte in fuoristrada usa delle tarature molto dure, perché ha le braccia e l’allenamento per gestirle. E può muoversi sulla moto per sopperire laddove la taratura necessaria per le sospensioni ne crei la necessità. Al contrario in pista, il pilota deve stare bloccato sulla sella, e anche un campione quando in curva prende una buca ha necessità che la sospensione l’assorba. Quindi la taratura delle moto da corsa è simile a quella delle stradali. La differenza è che i sistemi pista hanno una progressione maggiore. I nostri componenti che vendiamo per l’uso su strada sono quindi più o meno quelli che usiamo nei trofei monomarca”.
In cosa differiscono i prodotti racing più raffinati?
“A parte certe tecnologie esclusive, di solito la chiave sono le tolleranze strettissime che hanno. Dei controlli dei passaggi dell’olio attraverso gli spilli calibrati che fanno in modo che non ci sia niente di libero che gira. 2-3 decimi in più nel tubo, un decimo in meno nella fascia, sono tolleranze che potrebbero lasciare l’olio libero di passare. Più il livello si alza e più queste cose diventano fondamentali”.
“Però anche per un amatore che va a girare in pista per divertimento, avere una moto in assetto e con prodotti giusti e revisionati, sposta il limite verso l’alto. Magari non il primo giorno, perché mentalmente deve dimostrare a sé stesso che dargli il gas in un certo modo non è pericoloso. E di solito la scatolina all’inizio non ci crede. Si cresce volta per volta, perché la moto a posto spinge ad andare gradualmente un po’ di più”.
La qualità delle lavorazioni prima di tutto
“Certo. Ma più le tolleranze sono strette, più il prodotto è costoso. E gli ammortizzatori di serie, ovviamente, sono costruiti pensando anche ai vincoli di costo. Quindi non possono avere lo stesso livello di prestazione di prodotti di più alto livello. Per questo, ad esempio, gli ammortizzatori di serie sono costruiti con un pezzo unico di fusione, che comprende tubo e vaschetta. Gli Ohlins usano dei tubi lappati che vengono avvitati su una testa alla quale va collegata una vaschetta costruita separatamente”.

Il degradarsi della prestazione nel tempo vale anche per moto lasciate ferme?
“Credo di si, ma francamente non lo so. Facciamo tanti test sulle sospensioni, per capire il degrado di prestazione legato all’uso, ma non abbiamo mai preso in considerazione l’eventualità della moto lasciata ferma in garage”. E sorride.
Si è parlato di aria che si forma nell’ammortizzatore, come succede?
“C’è dell’aria anche nell’olio, e servono macchine complesse per ridurla al minimo. Per gli spurghi usiamo macchine da vuoto che tirano fino a un millibar. E poi altre che sparano dentro l’olio a pressione, togliendo pure le microbolle d’aria che fanno parte dell’olio stesso. Però con il tempo l’aria passa attraverso il blazer, che è un gommino, una membrana che nella vaschetta separa l’olio dall’azoto in pressione“.
Azoto quindi, non aria?
“Si, nelle sospensioni evolute si usa l’azoto al posto dell’aria, perché non dilata con la temperatura. Dunque il blazer separa l’olio dall’azoto. Da una parte l’olio a contatto con il pistone della sospensione, dall’altra l’azoto a 12 atmosfere. In situazione di lavoro, in pista, l’olio arriva anche a 80 gradi in estate. E il pistone della sospensione lo spinge nella vaschetta infinite volte, per ogni minima asperità. Quindi quel gas piano piano riesce ad andare fuori, e si mischia con l’olio. E a quel punto cambia il comportamento della sospensione. Perché il funzionamento dell’ammortizzatore si fonda in buona parte sul controllo dei passaggi d’olio con le lamelle; ma se attraverso queste passa olio misto a gas, il comportamento è tutto diverso, soprattutto a caldo”.
“Di questo un pilota professionista se ne accorge subito, mentre uno normale fa fatica ad avvertire la differenza. Ma se potesse girare con la propria sospensione con olio nel quale è entrata aria e con una sospensione nuova, sentirebbe subito la differenza. Un po’ come il problema del nostro invecchiamento. Noi ci guardiamo ogni giorno allo specchio e ci vediamo sempre uguali, ma se potessimo vederci come eravamo 20 anni fa, ci resteremmo male. Con la sospensione è la stessa cosa, cala nella prestazione piano piano e chi la guida sempre si abitua al suo funzionamento”.
Riassumendo?
“L’andare forte è tutto legato al sentire. Se c’è un talento è un altro discorso. Ma il motociclista normale va veloce e può pensare di arrivare a certi tempi e a certe soddisfazioni solo quando la moto è bilanciata e quando i prodotti sono professionali, a posto e con l’olio a posto”.
“Guardate le gare in Moto2, dove il livello è altissimo”, ci dice con l’occhio infervorato, che tradisce la sua passione. “In curva si vede che hanno sempre quella gomma davanti lì che si muove, scivola. Però loro sanno che quel scivolare lì comunque sta. Ma se hai la forcella che un pochino si muove di suo, come fai a capire se si sta muovendo la forcella o la gomma che è partita?”.
“E comunque, e torno anche su questo, la geometria in una moto da corsa è più importante dell’ammortizzatore o della forcella. La messa a punto della moto viene prima della taratura dell’ammortizzatore. Meglio avere una moto perfettamente a posto con un ammortizzatore così così, se devi scegliere, che non un ammortizzatore buonissimo con la moto magari tutta imputata davanti”.
E come si trova la buona messa a punto della moto?
“Ogni moto ha la sua misura. La si trova lavorando con le telemetrie, con i tecnici bravi e con i piloti bravi. La moto la metti a posto con una scheda che dice di quanto devi sfilare la forcella, quanto deve essere l’interasse delle ruote, quale deve essere l’altezza dell’ammortizzatore posteriore”.

Avete ancora una scuola?
“Non più quella di Motocross, c’erano troppi impegni da seguire. Abbiamo però la scuola delle sospensioni, con corsi sia per i tecnici dei nostri centri di assistenza sul territorio, che per i piloti e gli appassionati. Sono anche corsi economici, perché con circa 100 euro si può partecipare. A noi interessa fare divulgazione, e sul nostro sito ci sono le date”.
Come ti è montata questa passione per le sospensioni?
”Da ragazzo una volta ho vinto una gara della 1000 Dollari. Il giorno dopo mi ha chiamato l’ufficiale della KTM, chiedendomi come era andata la moto. Ho risposto che non c’erano stati problemi. Strano, mi disse, avevi un ammortizzatore piegato che non scorreva!”.
“Poi le cose sono cambiate. Passa il tempo e iniziano gli acciacchi, cala la voglia di farsi male. Peggiorano le doti da pilota e diminuisce la voglia di rischiare. Si migliora però in quello che si sa fare. E io ho imparato a fare le sospensioni. Che sono diventate un lavoro”.
“Il cambio di passo importante è stato passare all’asfalto. Vedevo la strada in maniera strana. Tant’è che quando mi hanno detto che bisognava andare in pista, ricordo che mi sono chiesto a cosa servissero le sospensioni in quel contesto. Pensavo che la pista era tutta asfaltata e liscia, e non servivano buone sospensioni. Invece ho scoperto che è più difficile mettere a posto moto per la pista, che non per il Motocross”.
Davvero?
“Si. Nel Motocross le piste cambiano continuamente, a volte sono bagnate, a volte si formano dei solchi. E i piloti si muovono molto sulla moto per compensare. In pista tutto si ripete continuamente con il pilota vincolato a rimanere sulla sella, e sistemare moto e sospensioni per arrivare ad alti livelli diventa più difficile”.
Parliamo di Ohlins, la marca alla quale sei legato. Qual è il segreto del loro successo?
“L’investimento in ricerca. Ohlins si fa pagare da tutti cifre molto alte, i piloti della MotoGP pagano molto per usare i prodotti Ohlins. Però la casa investe tantissimo in ricerca con una precisa metodica di lavoro”.
“Tutte le tarature Ohlins sono catalogate nel computer. Per il TTX ad esempio, si va da C1 a C36, con famiglie regressive, progressive e lineari –un gergo tecnico nel quale entreremo con futuri articoli, ndr-. Se hai bisogno di una taratura non devi inventartela, vai nel computer e addirittura ti dice click 1, 2 o 3. In azienda ci sono ingegneri che lavorano mesi per creare queste curve con banchi sofisticatissimi. E c’è anche un pool di professionisti, ex piloti di alto livello, con moto di proprietà della Ohlins dotate di telemetrie, che fanno test in pista e sviluppano prodotti e tarature. E vale anche per la MotoGP. Non usano i team per fare i test; piuttosto forniscono a questi un prodotto già sviluppato e a punto con tutte le schede per le tarature. Poi, ovviamente, il team di alto livello affina ulteriormente quella base già molto evoluta”.
“Il risultato è un mono che consegnano in tutto il mondo; e con un mono di serie si può anche correre il Mondiale”.
“È questo il segreto del successo di un’azienda che fattura 150 milioni e che in media copre il 70% dei partenti negli schieramenti di partenza delle gare”.

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